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Rebibbia vista sul cellulare, il film girato dagli studenti

(da La Repubblica) - La prima volta che varca i cancelli di Rebibbia, Yaya Jia ignora di essere finita in carcere. Le viene requisito il cellulare, e seguendo un uomo in uniforme attraversa un corridoio, sbuca in cortile e s’infila in una sala buia.
Dall’oscurità emergono figure vestite di nero. «Pensavo si trattasse di uomini di una scorta», ricorda la 22enne cinese originaria di Xi’an. Finge solo di conoscere il significato di quella strana parola, “carcere”, che sente ripetere sottovoce dai compagni. Solo molte ore dopo, quando potrà digitare sul suo smartphone il lemma, lo scoprirà. «Mi è preso un colpo! ride – In Cina c’è la pena di morte, l’idea di incontrare i detenuti è impensabile, ancora di più in un contesto artistico».
 
L’esperienza di Yaya, in Italia da 3 anni, è diventata il fil rouge del docufilm “Rebibbia 24”, che verrà proiettato all’Auditorium dell’istituto detentivo il 20 dicembre, realizzato da 7 studenti del Dams di Roma 3, in collaborazione con l’ Istituto Statale Cine-tv “Roberto Rossellini”, l’Istituto “Giuseppe Carducci”, il “Francesco d’Assisi” e la Banda della Scuola Popolare di Musica di Testaccio.
 
«Tutto nasce dalla fondazione Enrico Maria Salerno [che ha dato vita al Teatro Libero di Rebibbia, ndr] e dal bando “S’illumina” finanziato da Siae e Mibact», spiega Cavalli, che in 15 anni di lavoro con i detenuti annovera successi internazionali come “Cesare deve morire”. Anche docente al Dams, è il terzo anno che Cavalli coinvolge i suoi allievi in progetti con i detenuti. «Stavolta però la partecipazione è stata talmente sentita che abbiamo deciso di farne un film», continua Cavalli. “All’inizio pensavo fosse un corso obbligatorio come tanti – ricorda Giulia Ammendolia, 24enne neolaureata al Dams – ero scettica. Ma mi è bastato un giorno per ricredermi. Lì dentro c’è vera arte, vera cultura, non siamo noi a offrire una boccata d’aria fresca ai detenuti, sono loro a farlo per noi». «Mia madre all’inizio aveva paura – aggiunge Giulia Sperduti, 21 anni – ma le ho fatto capire che si sbagliava.
 
Non bisogna guardare ai detenuti per ciò che hanno fatto, ma per chi sono ora”. Il docufilm è un dietro le quinte dello spettacolo “Hamlet”(recentemento presentato alla Festa del Cinema), che alterna vicende biografiche di ragazzi e detenuti, girato con smartphone e un drone. Convivialità, ilarità (come quando Ammendolia ritrova l’uomo che 40 anni prima aveva rubato l’auto di una zia in un paesino calabrese), ma soprattutto tanta umanità. «È la cosa più vera e pura che ho mai fatto in vita mia – dice Jia, commossa – lì dentro c’è vera libertà, la libertà dell’arte». Arte che cambia le persone. «In Italia il tasso di recidiva è al 70% conclude Cavalli – nei casi che ho seguito io è al 10%».
 
Per la proiezione del 20 (a ingresso gratuito) è obbligatorio prenotare al tel. 069078326 069079216 entro oggi.