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Cresce il numero dei detenuti, non si educa reprimendo

Cresce il numero dei detenuti nelle carceri del Lazio: 6.517, per un tasso di affollamento del 124%, più alto rispetto al dato nazionale del 119%. Critica la situazione a Latina, dove il numero delle presenze sfiora il doppio dei posti disponibili, ma anche a Regina Coeli, con un tasso di affollamento del 159%. Ad aumentare soprattutto il numero di detenuti stranieri (+ 14% in un mese) e le persone in attesa di primo giudizio.

<Livelli mai raggiunti dal 2014», commenta il Garante regionale dei diritti delle persone private della libertà, Stefano Anastasìa, che denuncia come si sia varcata la "soglia di sicurezza" del sistema penitenziario nazionale, 60mila unità. «È una tendenza preoccupante, che pregiudica le condizioni di vita e di lavoro all'interno degli istituti».

Da qui l'urgenza di una riflessione sul problema e sulle alternative al carcere promossa dallo stesso Garante con un ciclo di convegni concluso martedì 11 dicembre alla Regione Lazio. Partendo dall'idea, secondo l'ex magistrato del "pool Mani pulite" Gherardo Colombo, al tavolo dei relatori, che «il carcere è un male» e che «non si può educare reprimendo». Anche se, Colombo ne è consapevole, «il pensiero collettivo va in direzione opposta: il carcere è luogo di salvezza sotto il profilo della rassicurazione, chi sta fuori pensa di essere una brava persona perché i cattivi stanno dentro». Una rassicurazione rispetto alla percezione di un'insicurezza dilagante. Eppure, osserva Colombo, «i dati dicono che da oltre 20 anni il numero degli omicidi diminuisce e in genere avvengono in casa».

Colombo, impegnato nella promozione della cultura della legalità e delle alternative al carcere, presiede la Cassa per le Ammende, un ente istituito presso il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria che finanzia progetti mirati ad aiutare il reinserimento e a migliorare le condizioni dei detenuti e dei familiari. «Oggi – sottolinea l'ex pm – si può fare di più con bandi a evidenza pubblica, finanziare progetti con la Conferenza delle Regioni. Altra iniziativa è il lavoro di pubblica utilità, devono essere lavori formativi. Si possono realizzare molti progetti poco costosi sotto questo profilo». Per Colombo la vera alternativa al carcere è la giustizia riparativa, che «prevede un percorso tra il responsabile e la vittima, con il primo che si rende conto di ciò che ha fatto perché non lo commetta ancora».

«La visione punitiva – afferma Lucia Castellano, già direttrice del carcere milanese di Bollate e ora direttore generale dell'esecuzione penale esterna e della messa alla prova presso il Ministero della giustizia – è effimera e non soddisfa neanche le vittime perché il reo deve avere una punizione commisurata al reato. Ma ci vuole la certezza della pena e non aspettare 10 anni. La velocità della risposta punitiva è la proporzionalità all'offesa creata ma non riusciamo a garantirlo né alle vittime né agli autori del reato».

Castellano si sofferma proprio sulla messa alla prova, l'istituto cui possono accedere gli imputati per i reati puniti con la sola pena pecuniaria o con reclusione non superiore a quattro anni. «Oltre 13.000 persone sono persone messe alla prova, non condannate. Questo strumento ha una potenzialità enorme perché sospende il processo e prevede un lavoro di pubblica utilità che estingue il reato, se portato bene a termine. Si deve saper cogliere la rivoluzione del legislatore. Permette di deflazionare i processi, intercettare la persona prima che accumuli un fascicolo di recidiva».

«Bisogna cambiare il carcere», sottolinea Maria Antonia Vertaldi, presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma, l'organismo cui spetta decidere sulle condizioni di detenzione e sull'accesso alle misure alternative al carcere. «Il legislatore, senza saltare i dovuti passaggi, deve vedere come riformare l'intero sistema penitenziario. Per la società civile ci vorrebbe un'opera di comunicazione per farle capire e renderla attenta al problema perché il carcere è un non luogo. La magistratura di sorveglianza è pronta a lavorare di più per raggiungere questo obiettivo».